Il concetto di minimo intervento esteso dall’arte contemporanea all’arte antica

Natalia Materassi

La ricerca sulla conservazione dell’arte contemporanea, confrontandosi con oggetti particolarmente fragili e problematici, ha favorito una maggiore riflessione verso un’adeguata considerazione del concetto di invecchiamento come elemento integrante dell’opera di arte.
Sia in opere di elaborazione recente, dove l’assestamento dei materiali non si è totalmente stabilizzato, e quindi soggette a continui e imprevedibili mutamenti e decadimenti, sia in opere in cui la depolimerizzazione dei supporti e l’ossidazione  dei film pittorici ha creato un degrado tanto forte da mettere in dubbio la prosecuzione della fruibilità, qualsiasi materiale introdotto può immettere delle reazioni diverse potenzialmente dannose o influenzare l’estetica e il linguaggio stesso dell’opera.

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Questa crescente sensibilizzazione ha esteso l’attenzione verso i procedimenti e i materiali del restauro in generale e ha posto  in primo piano le sue regole fondamentali: intervenire il minimo possibile, ma fin dove necessario, cioè affrontare la progettualità di un restauro avendo ben chiaro che cosa intendiamo per efficacia di un restauro.

tavola a bassa pressione

Ci sono oggi non solo tecnologie più avanzate, ma anche trattamenti più rispettosi, che si limitano al solo risanamento dei materiali, e non si circoscrivono solo all’arte contemporanea. L’appiattimento delle superfici modellate tramite stiratura viene vista come un errore; la propria foderatura è impiegata solo come ricorso estremo, le puliture e la rimozione di vernici vengono condotte con maggiore cautela e considerazione.


retro di dipinto

Cresce l’interesse per tutte le parti del quadro, in particolare del retro, una volta che l’arte moderna crea nel pubblico l’abitudine di esibire la nuda materia, il telaio, i propri chiodi, dicono tanto sulla sua storia. La struttura dell’opera e la sua vicenda vanno assumendo una posizione centrale nella teoria del restauro, di cui si constata un avvicinamento alla visione storica e un allontanamento dalla standardizzazione tecnologica. Non ci sono più norme, ma solo punti di vista, orientamenti indicativi cui confrontare i singoli casi.

Minimo intervento significa che l’oggetto non necessita di niente che vada oltre il suo equilibro e stabilità; pretende osservazione, tranquillità, il rifiuto di ricette standardizzate e di tecniche di routine, di fronte alla certezza che ogni opera è un caso unico e di conseguenza richiede la conoscenza della molteplicità di interventi possibili, scegliendo quello di minore invasività, sempre basato in motivazioni di maggiore rispetto per l’opera.


“Minimizzare si riferisce a tutti quegli interventi tesi a ridurre al minimo lo stress ed i danni collaterali che possono essere causati ad un dipinto prima, durante e dopo l’intervento conservativo. Di conseguenza il termine ‘minimizzare’ significa anche migliorare e se possibile eliminare gli sbagli e eccessi prodotti dai restauri del passato” (Speroni, pp. 37).

Inseriti in questa ottica possiamo parlare del trattamento di strappi con operazioni di vera microchirurgia, saldando le teste dei vari fili originali con adesivi sufficientemente elastici per permettere la ricomposizione dell’opera, senza procedere a un doppiaggio con altra tela;

verso

il consolidamento degli strati pittorici con adesivi di origine sintetica usati sia a basse temperature che a freddo, evitando operazioni invasive come la foderatura; i controtelai di appoggio tali da evitare ogni manomissione del retro di un dipinto.

È tuttavia soltanto in rapporto al raggiungimento di un risultato prefisso, che sarà possibile stabilire quanto minimo sia da ritenere un intervento, sapendo che la valutazione dei singoli interventi e della loro importanza comportano il principale compito dell’etica professionale del restauratore.


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gipponese

anno scolastico 2007-2008 Istituto L'AMBIENTE